inCiampi | gianluca pitari

Signori,
il seguente testo vuol essere un monito alla cittadinanza tutta: lasciate perdere Piero Ciampi! A breve, nei pressi del lungomare di Catanzaro Lido, verrà intitolato un giardino a suo onore; ma Piero Ciampi è stato e tuttora è un cantautore e un poeta la cui essenza può essere sostenuta e assaporata soltanto da pochi animi. Io vi ho avvisato, l’autore di questo scritto declina ogni responsabilità circa i possibili tracolli esistenziali conseguenti alla fruizione del suddetto artista! Ebbene sì: Piero Ciampi è un fattore di rischio, un autentico pericolo per l’istinto di autoconservazione! Ricordo ancora la primavera del 2003 appassirmi addosso ogni volta che ascoltavo Io e te, Maria e Tu no.

Dovetti sospendere l’ascolto dei suoi dischi per circa 15 mesi, prima di poter farmi scivolare nuovamente nelle vene la sua poetica struggente. Questo livornese inquieto ha segnato una profonda lacerazione nel tessuto della canzone d’autore italiana. Forte di un vitalismo malinconico e selvaggio al contempo, è riuscito a imprimere alle parole un carico emotivo inusitato; e con Gianni Marchetti, abile musicista e anima bella, ha foggiato congegni estetici di rara intensità. Ma non siamo qui a celebrare l’armonia o la concordia, Piero Ciampi si porta addosso un maledettismo innato che lo spinge ostinatamente oltre i limiti. La stravaganza e l’eccesso che ne sono derivate hanno giocato un duplice ruolo per la sua carriera; da un lato gli hanno permesso di avere una notorietà immediata, che ha fatto leva sulla pancia della gente; gli stessi elementi ne hanno però limitato una conoscenza più ampia, un giudizio più lucido e approfondito. Ho sentito e sento ancora valutazioni approssimative sulla sua opera: c’è chi ne denigra la voce, troppo distante dagli standard del bel canto italiano; chi ne sottolinea l’intonazione discutibile; chi lo trova esagerato… tutti però d’accordo, nelle giuste e opportune occasioni, a dipingerlo come un genio incompreso… un opportunismo inaccettabile di chi riesce a fruire solo una minuta porzione dell’animo umano. Lo stesso Vincenzo Micocci, suo storico discografico, nel settembre del 2002 a Crotone, ebbe per lui parole dure, dipingendolo come un uomo difficile da gestire, rissoso e provocatorio. Una cosa è certa, che le sue proverbiali intemperanze non possono essere slegate dal sentimento di sofferenza che lo abita; Piero Ciampi vive sulla sua pelle la precisa consapevolezza della tragedia ascritta nella vita, nonché il tentativo, fatalmente goffo e illusorio, di arginarla. In questo senso egli accetta l’azzardo dell’esistere in quanto poeta, categoria inumana a cui si chiede di preservare la propria vulnerabilità con l’obiettivo di mutare il dolore in canto… e Piero, con slancio romantico, risponde alla chiamata, ma incespica ripetutamente a causa del fardello di solitudine che gli grava addosso. I sentimenti che cova sovrastano la portata del suo corpo esile che non riesce ad assecondarlo, piantandolo irrimediabilmente a metà del percorso.

Questo è Piero Ciampi: un irregolare, un sovversivo, un semprinnamorato, un urlo disperato a risvegliare un universo imbalsamato nella morte. Per cui, signori miei, quando ci troveremo a sfilare davanti ai giardini Ciampi, serbiamo memoria di quest’alterità e proviamo a far lievitare il silenzio, proviamo a cogliere il fruscio luttuoso degli alberi che improvvisano per Piero un miserere.

Se avete avuto l’incauto ardire di spingervi fino a qui… forse potrebbe essere troppo tardi. Shhh… che non se ne parli più!

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