il momento decisivo tra la fuga e la rinuncia non è mai veramente decisivo | valerio callieri*

(*) è nato a Roma nel 1980. il suo Romanzo d’esordio, Teorema dell’incompletezza, è stato insignito del prestigioso Premio Calvino e pubblicato nel 2017 da Feltrinelli editore.

 

Come una grande macchia di sangue su piastrelle smaltate di bianco che si propaga lungo gli interstizi. Il bordeaux inonda lo stucco e filtra. Nella stanza di sotto cola dal soffitto e finisce su una grande insalatiera di ceramica bianca e la riempie dopo qualche minuto e nessuno riesce a capire da dove venga il sangue o il succo di pomodoro, perché io lo assaggio e sembra proprio pomodoro cotto a lungo, però continua a sgocciolare e le persone non sanno come prenderla nel senso che sono sicuri che non sia una cosa gravissima, però devono andare al lavoro devono sbrigare servizi devono chiedere il prospetto dell’eventuale pensione, e stanno lì ormai infastidite perché interrompere la propria vita per un uomo ucciso va anche bene, ma così no, è una situazione poco catalogabile, non riescono a raccontarla a se stessi, nonostante ognuno infili il proprio mestolo nell’insalatiera e succhi rumorosamente il liquido.
Chiaro che era un sogno, ma perché a Matteo torna in mente e perché qualcuno ha detto che nei sogni sia nascosto un significato?
Va a lavoro e quando è fermo al semaforo il sogno gli agguanta gli occhi. Più precisamente è Valentina a farlo, a bussare sul parabrezza della macchina fino a sfondarlo, quindi a infilare il braccio nell’abitacolo e trascinarlo fuori nudo – i vestiti rimasti sul sedile – con la pelle tagliata dalle schegge del parabrezza sfondato. E improvvisamente intorno a loro il mare con l’orizzonte lontano e indefinito.
Quando il semaforo torna verde, la strada torna limpida ma Matteo prova un bisogno fortissimo di buttarsi su un qualunque materasso e disporsi in posizione fetale in attesa che il cervello smetta di tremare.

È pallosa questa storia dei sogni. Sono anni che non gli succede più. Di solito erano le sue ragazze che al mattino raccontavano dettagliatamente i loro sogni. Come se fossero interessanti. Non volevano accettare il mondo vero. Perché non si rendevano conto che – a furia di sognare – i cannoni di guerra della realtà diventavano piccole pipe fumanti innocue? La pioggia diventava lacrime, un dente diventava un morto, gli alberi nel vento diventavano gridi di aiuto rivolti all’infinito e blablabla. E se invece le cose non rappresentassero che se stesse? Il mondo è già abbastanza complicato e non serve assolutamente qualcuno che appiccichi doppioni alle cose.
E già si aspetta la ragazza di turno che gli snocciola parole come anima, archetipi, inconscio collettivo, rimozione, tu-non-vuoi-andare-a-fondo. Ma qual è la garanzia che quello sia il fondo e soprattutto che il fondo abbia un sottofondo in cui apparecchia il vero significato delle cose?
Matteo entra in ufficio: i colleghi, il capo, la pausa-pranzo, le piccole frustrazioni, battute insipide e caffè annacquato. Tutti si lamentano dell’ufficio ma a volte è veramente un rito in grado di scacciare tutti i pensieri di troppo. La religione con una luce al neon al posto della rivelazione.

Però dopo un po’ Matteo alza lo sguardo al soffitto.
Non ci sono gocce di sangue in vista.
Però lo sa che tutta questa rabbia è rivolta verso la sua ex ragazza, che si fa presto a dire la ragazza di turno in maniera più o meno noncurante e misogina, che in realtà la ragazza è, anzi era, Valentina che l’avrebbe toccato e capito da una sola immagine del sogno, solo lei avrebbe potuto dirgli senza timore che non importava si trattasse di sangue o succo di pomodoro, l’importante era comprendere che il liquido era il dolore che tutti inzaccherava, tutti gli esseri umani fino all’orlo dei pantaloni, e che non bastavano tutte le luci al neon del mondo per spazzarlo via. Solo Valentina lo conosceva, come si conoscono i fratelli o i figli, e solo da lei avrebbe accettato quella fuffa psicanalitica, perché la fuffa di Valentina era vera.
Purtroppo non era morta, Valentina. Si erano solamente lasciati. Se fosse morta avrebbe potuto prendersela con qualche divinità oscura o con una coincidenza troppo tagliente. Invece esiste – probabilmente felicissima – in una parte del mondo priva di Matteo. E Lui si tiene dentro le visioni e odia i suoi sogni.
Valentina gli aveva detto che esistevano delle barche che rimanevano ferme al molo per sempre, più invecchiavano accarezzate da piccole onde e più avevano paura del mare lontano.
Matteo le aveva chiesto con un sorrisino se anche quello era stato un sogno.
Valentina non aveva più risposto. Non le piaceva il sarcasmo.

È una delle loro ultime conversazioni. Almeno di quelle che Matteo ricorda.
Si alza dalla sua scrivania e va in bagno mentre qualcuno lo chiama senza ricevere risposta.
Si guarda allo specchio e poi nota che il muro del bagno è composto da piastrelle bianche smaltate. Si avvicina e con il polpastrello dell’indice percorre lo stucco. Poi lo rigira verso di sé e lo trova solo un po’ polveroso. E non vede che il liquido bordeaux cola dall’alto e riempie la porcellana bianca del lavandino, si rovescia sul pavimento e sale fino alle sue caviglie. A pochi centimetri dallo specchio Matteo torna a osservarsi la faccia: la fuga dei suoi lineamenti è finita. Sono stati catturati, costretti a tornare nella prigione del viso paterno. Stesse curve arrese e linee morbide che accarezzano gli occhi di un uomo che ha paura di salpare. Strano perché Matteo invece è ormai un uomo fatto, indipendente, uno che paga le tasse e sceglie accuratamente i mobili per il salotto. Poi se ne accorge: il liquido bordeaux è arrivato fino alle sue ginocchia e sta raggiungendo il telaio della finestra. Matteo – il livello ormai alla vita che gli rallenta il cammino – la raggiunge dopo qualche secondo e la apre. Il sangue o il succo di pomodoro cotto esce fuori e invade il parcheggio, le strade e i palazzi. E assume il colore del mare lontano e profondo mentre gli occhi di Matteo iniziano a navigare verso l’orizzonte tra le onde che si contendono tutta la città. Un vento carico di salsedine lo schiaffeggia e sa che certe volte è troppo tardi, o forse no, forse no.

In copertina: Andrea Granchi, La Fuga
© Valerio Callieri

online il n° 110 de La Masnada

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In questo numero: andrea napoli, subhaga gaetano failla, nunzio belcaro, vesdan, ivan pozzoni, matteo mazza, gianluca pitari, carlo baruff, carmine torchia, elisabetta longo, valentina milia, vincenzo montisano, carluca parrotta, chiara pezzali, federica magro.

Illustrazioni di Domenico Iervasi.

All’interno uno scritto di Valerio Callieri, insignito del prestigioso Premio Calvino e pubblicato nel 2017 da Feltrinelli editore.

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