Lo sbarco | Subhaga Gaetano Failla

L’estate della loro terra lontana gonfiava di sole i frutti sugli alberi e sfolgorava sulle acque marine, mentre la nave interstellare, dopo aver superato distanze inconcepibili, scendeva come un ragno appeso a un filo sulla superficie del pianeta da colonizzare.

L’ennesima missione, un lavoro divenuto abitudinario, un piccolo pianeta da conquistare senza esplodere nemmeno un colpo, perché in quel mondo, secondo i numerosi studi e le spedizioni di verifica, non avrebbero incontrato esseri viventi. Se qualcuno aveva mai attraversato quelle lande, ciò era avvenuto in tempi remotissimi, e di quell’evento non era rimasta la pur minima traccia.

Herbert e Jules scesero lentamente i gradini della scaletta dell’astronave, mossero i primi passi intorno e guardarono col consueto sospetto dei colonizzatori, e con stanchezza e noia, il panorama deprimente, avvolto in una luce crepuscolare, che si apriva davanti a loro.

“Che sciocchezza” disse poi a bassa voce Herbert. “Ho avuto per un attimo una strana sensazione. Mi è sembrato di sentire quasi come un respiro vastissimo, una specie di ansito che mi circondava, proveniente da ogni dove”.

“Siamo troppo vecchi, ormai” rispose Jules senza neanche prendere in considerazione la bizzarra impressione provata dal compagno. “È ora di andare in pensione…”.

Herbert portava con sé una bandiera, ne impugnava l’asta sbadatamente, come il manico di un ombrello inutile e fastidioso. Jules indicò un rialzo, una sorta di gibbosità che spuntava dall’orlo di un cratere spento. Percorsero un centinaio di metri, giunsero al culmine del minuscolo colle e Herbert con un sol colpo conficcò lì la bandiera.

Sentirono un sussulto al di sotto dei loro piedi. Poi, quasi barcollando, indietreggiarono. Dal buco prodotto dall’asta fuoriusciva un fiotto di sangue. Si spandeva in rivoli, rosso e denso, verso di loro.

© Subhaga Gaetano Failla