Lo sbarco | Subhaga Gaetano Failla

L’estate della loro terra lontana gonfiava di sole i frutti sugli alberi e sfolgorava sulle acque marine, mentre la nave interstellare, dopo aver superato distanze inconcepibili, scendeva come un ragno appeso a un filo sulla superficie del pianeta da colonizzare.

L’ennesima missione, un lavoro divenuto abitudinario, un piccolo pianeta da conquistare senza esplodere nemmeno un colpo, perché in quel mondo, secondo i numerosi studi e le spedizioni di verifica, non avrebbero incontrato esseri viventi. Se qualcuno aveva mai attraversato quelle lande, ciò era avvenuto in tempi remotissimi, e di quell’evento non era rimasta la pur minima traccia.

Herbert e Jules scesero lentamente i gradini della scaletta dell’astronave, mossero i primi passi intorno e guardarono col consueto sospetto dei colonizzatori, e con stanchezza e noia, il panorama deprimente, avvolto in una luce crepuscolare, che si apriva davanti a loro.

“Che sciocchezza” disse poi a bassa voce Herbert. “Ho avuto per un attimo una strana sensazione. Mi è sembrato di sentire quasi come un respiro vastissimo, una specie di ansito che mi circondava, proveniente da ogni dove”.

“Siamo troppo vecchi, ormai” rispose Jules senza neanche prendere in considerazione la bizzarra impressione provata dal compagno. “È ora di andare in pensione…”.

Herbert portava con sé una bandiera, ne impugnava l’asta sbadatamente, come il manico di un ombrello inutile e fastidioso. Jules indicò un rialzo, una sorta di gibbosità che spuntava dall’orlo di un cratere spento. Percorsero un centinaio di metri, giunsero al culmine del minuscolo colle e Herbert con un sol colpo conficcò lì la bandiera.

Sentirono un sussulto al di sotto dei loro piedi. Poi, quasi barcollando, indietreggiarono. Dal buco prodotto dall’asta fuoriusciva un fiotto di sangue. Si spandeva in rivoli, rosso e denso, verso di loro.

© Subhaga Gaetano Failla

Le cinque giornate di Rimbaud | Angelo Tolomeo

19 ottobre 2015
Stamattina presto mi ha citofonato Rimbaud e mi ha detto che bisogna assolutamente essere moderni. Io non ho nemmeno aperto la porta perché so dove vuole andare a parare e soldi non gliene do.

26 novembre 2015
Stamattina presto mi ha citofonato Rimbaud e mi ha detto che finalmente ha trovato un lavoro: vende armi automatiche porta a porta. Io mi sono congratulato e lui mi ha chiesto se può interessarmi una colt, che gli è arrivata dall’America e non sa come sbolognarla. Gli ho detto di no, che non mi interessa e lui s’è incazzato. Ha urlato che ‘ste cazzo di armi non le vuole un cazzo di nessuno e che quasi quasi vendeva meglio con la poesia.

21 gennaio 2016
Stamattina presto mi ha citofonato Rimbaud ma quando ho aperto c’erano solo due testimoni di Geova, dicevano Ce ne peut être que la fin du monde, en avançant. Prendere tutte le mie cose e seguirli nella sala del regno.

29 gennaio 2016
Stamattina presto mi ha citofonato Rimbaud e mi ha detto d’averci un ginocchio in cancrena. Io non sapevo cosa rispondere e allora lui si è messo a raccontare un fatto suo. Dice che spesso si ritrova a ricordare con inquietudine quando ha preso l’intercity notte per Taranto; e precisamente: quel momento in cui si è svegliato – alla prima alba – e nella cuccetta tutti stavano dormendo; lui non ricordava neppure dove fosse diretto e, semplicemente, si lasciava cullare dallo stridio delle ruote sugli scambi. Ha guardato fuori dal finestrino e non c’era più niente: era tutto bianco come nella famosa poesia di Montale dice. Poteva chiudere gli occhi e tutto sarebbe finito come uno scherzo, ma lui no, lui se n’è andato in Africa.

1 febbraio 2016
Stamattina presto mi ha citofonato Rimbaud ma quando gli ho aperto lui non si ricordava più le poesie. Nemmeno l’alfabeto si ricordava e nemmeno le vocali. Allora ho preso carta e matita e ho scritto: A nera, E bianca, I rossa … e così via.

© Angelo Tolomeo